FS, nuovi vertici e quindi nuove strategie?

treno

Da ieri Fs ha nuovi vertici. Gianfranco Battisti è amministratore delegato e Gianluigi Vittorio Castelli il nuovo presidente. Il ministro delle infrastrutture e dei trasporti Danilo Toninelli ha scelto di cambiare nella continuità, nel senso che ha promosso manager che già lavoravano all’interno della struttura Fs.

Questo può essere un buon segnale. Si può pensare che finalmente i politici comincino a premiare la competenza. Ok, sarà certamente così, ma come sono stati spesi fino ad oggi i soldi dei cittadini nel servizio ferroviario? Vi è mai stata una strategia? Purtroppo a giudicare da fuori (cioè senza conoscere cifre e verbali interni di Fs) i cittadini hanno l’impressione che ci si muova per impulsi invece che per ragionamenti. Oppure, più che altro per motivi clientelari…

Ora abbiamo un nuovo governo, che si autoproclama del cambiamento, un nuovo ministro veneto e nuovi vertici Fs assisteremo ad un cambio di passo? Avremo finalmente una politica del trasporto ferroviario guidata da una strategia o finiremo come sempre col seguire impulsi del momento, o contraddittori? Sarebbe bello scoprire che le risorse comuni vengono indirizzate al meglio.

Mi spiego. Treni ad Alta Velocità. Progetti che sembrano essere nati più che altro sull’impulso di imitare la Francia. Quando questa nazione si è dotata di una rete ad Alta Velocità noi l’abbiamo seguita a ruota. Senza molto ragionamento. Mi ricordo che ero Presidente del consiglio provinciale di Milano e si discueva del senso che avrebbe avuto avere una linea Tav fra Milano e Genova. Una tratta così breve che i treni non fanno a tempo a raggiungere la massima velocità che già devono cominciare a rallentare per entrare in stazione. Oppure la tratta Est-Ovest che deve attraversare la pianura padana per collegarla con la Spagna e la Slovenia.

Quando iniziò la corsa alla Tav qui da noi avevamo due occhi coperti di salame? In Francia questi investimenti avevano già portato ai primi problemi e quindi già potevamo capire quali sarebbero stati. La Tav dedicata al trasporto veloce dei passeggeri stava mandando in difficoltà la concorrenza dei voli interni francesi. Ebbene noi in Italia volevamo mandare a gambe all’aria la già traballante Alitalia? Evidentemente sì, poichè ci si incamminò sulla scelta strategica della Tav con grande sicumera.

Fu scelta strategica quella? Voglio sperare di no.

Di più: il nostro territorio è appenninico, realizzare qui la Tav significa investire molti più soldi che in Francia perchè costruire in galleria è molto più costoso che stendere i binari all’aperto. Avevamo tutte quelle risorse? Ho molti dubbi in proposito. L’investimento si sarebbe ripagato nel tempo? Chi ha studiato la questione? Che dati hanno esibito?

Fu scelta ponderata bene quella? Ho molte perplessità.

Prima di iniziare l’aventura della Tav le ferrovie si erano dedicate soprattutto al trasporto intermodale. Al nord (del sud non so e, quindi, non dico) si erano investite molte risorse per realizzare nuove stazioni ferroviarie con scambi intermodali per incentivare il rasporto delle merci sui treni diminuendo così l’impatto inquinante del trasporto su gomma. Ma anche allora, giudicando da fuori, ebbi l’impressione che tale scelta fosse dettata da considerazioni impulsive piuttosto che da vera strategia. Si era visto che nell’Europa del Nord il trasporto delle merci avveniva già da anni attraverso le infrastrutture intermodali e ci si orientò così più per imitazione che per vero ragionamento.

Un semplice cittadino come me lo desume da quello che vede oggi semplicemente passando vicino ai nuovi porti intermodali o osservando il passaggio dei treni merci. Il lavoro langue, sono pochi i passaggi di merci sulle nostre linee ferroviarie, molti meno di quelli di qualche anno prima di tutti quei soldi investiti allo scopo di potenziare la capacità delle Fs. Perchè?

Il buonsenso mi indirizza a pensare che in Fs si sia persa la visione strategica (se mai se ne ebbe). Abbiamo investito milioni di euro dei cittadini, ma non li sappiamo far rendere al meglio! Sarebbe buona cosa che ci fosse una costola delle Fs (magari una società collegata) che si occupasse solo di rendere produttivi i nostri porti intermodali. Sarebbe bello che tale società avesse una testa direttiva al nord, magari in Veneto, cioè là dove il trasporto merci incrocia nord, sud, est, ovest e dove le industrie sono più concentrate. Agire in tale direzione vorrebbe dire non aver gettato al vento i soldi spesi fin qui e vorrebbe dire diminuire l’inquinamento dell’aria padana sempre critico. Invece oggi dipende tutto da Roma che tende a disincentivare, pensate che ho notizie certe di aziende che avevano stabilimenti collegati col raccordo ferroviario, che vorrebbero ripristinarlo e a Roma non ne vegono a capo, pare che lì ormai tutti pensino solo al traporto dei passeggeri. Sic!

Almeno ai passeggeri ci si pesasse bene, ma che dire dei disservizi nel trasporto dei pendolari? Che dire del mancato ammodernamento delle linee nel sud e nelle isole? Anche qui si nota una vera e propria mancanza di strategia.

Già, che strategia sarebbe quella della Tav est/ovest? Portare in modo veloce passeggeri dalla Spagna all’Italia? Quanta sarebbe l’utenza? Non credo molta e allora quell’enorme investimento a cosa finirebbe per servire in realtà? A portare in modo super veloce le arance spagnole nei supermercati padani che le venderebbero facendo concorrenza alla produzione del nostro sud? Forse anche questa scelta strategica andrebbe ponderata meglio…

Sarebbe bello che il nuovo ministro Toninelli e i nuovi vertici Fs Battisti e Castelli si riunissero attorno ad un tavolo per parlare finalmente di strategia Fs. Il rispetto dei soldi invesiti dai cittadini lo meriterebbe.

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8 anni

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Nel XX secolo 8 anni separano una generazione dall’altra. Ho da poco letto il nuovo libro di Pietro Ichino “La casa nella pineta” e ne ho avuto la prova.

Un libro scritto molto bene che si legge volentieri. Un libro un po’ come il mio: partendo dalle radici familiari racconta l’impronta che ne ebbe la sua infanzia per poi spiegare il perchè delle sue scelte da adulto.

Ebbene, lui, come me, ha radici forti di famiglia. Lui, come me, una infanzia milanese e in una casa avita in Toscana. Lui, come me, un imprinting dovuto al rapporto diretto con Don Lorenzo Milani. Ma… Ma 8 anni hanno fatto una grande differenza. Sì perchè lui ha 8 anni più di me.

Come è possibile che aver incontrato sulla propria strada Don Milani da bambino, ma 8 anni prima lo abbia portato ad un impegno nel lavoro e nella politica tutto a sinistra, mentre io, 8 anni dopo, ho sì avuto come prima tessera quella del Pci, ma poi ho virato verso il federalismo della Lega?

Lui da Don Milani ha preso il sentirsi in dovere di rendere. Rendere i privilegi di un’istruzione borghese a chi non l’aveva avuta. Lo ha fatto attraverso l’impegno nel sindacato della Cgil e nella sinistra. E’ divenuto un ottimo giuslavorista, ma molto contestato proprio da  chi era più a sinistra. Ha persino dovuto vivere sotto scorta per via delle minacce dei terroristi!

Io da Don Lorenzo ho preso il motto: “I CARE”. Sì, perchè non ho fatto a tempo a godere di un’istruzione borghese. No, sulla scuola era passato un ciclone che aveva distrutto tutto senza ricostruire alcunchè…

Già: la mia generazione ha vissuto il declino delle idee della sinistra proprio a partire dal clima di violenza instauratosi fin nelle scuole e nelle università dopo il 1968. Ho visto di persona come “Lettera ad una professoressa” fosse strumentalizzato più che compreso ed applicato. Da qui il disamore per  quella sinistra massimalista, becera. Da qui il ripiegarsi in famiglia durante gli anni della “Milano da bere” cioè dei socialisti alla Craxi.

Ma poi ecco riemergere I CARE forte; quando si trattò di scrollarsi di dosso tutta quella corruzione. Senza la presenza di una Lega vincente la magistratura milanese non avrebbe avuto la forza di un’indagine come quella che fu di “Mani pulite” che si abbattè sui socialisti rampanti e grifagni. Da lì si arrivò all’indignazione popolare che portò la Lega al governo di Milano con Formentini. Una vittoria straordinaria. In due anni la Lega passò dal 6% a Milano ad avere il sindaco e una giunta che era perbene. I CARE aveva vinto!

Berlusconi fu la reazione del vecchio sistema a quella forza politica così nuova e dirompente. Ci sono voluti più di 25 anni e un nuovo secolo, il XXI, per risollevare l’indignazione popolare con il movimento dei 5 stelle…

L’insegnamento che ne traggo? Ogni secolo ha una sua dinamica. Nell’800 le innovazioni tecnologiche erano solo agli albori. All’inizio del secolo la forza lavoro era soprattutto contadina, alla fine cominciavano a prendere piede le industrie e gli operai. In quegli anni le generazioni si susseguivano ad un ritmo certamente più blando e forse erano più dovute alle guerre: i famosi “coscritti” commilitoni che avevano vissuto le medesime battaglie. Oggi nel 2000 con l’avvento dell’informatica tutto avviene ad una velocità molto più frenetica. Ma nel ‘900, 8 anni era veramente un salto generazionale.

La storia non si fa nè con i se nè con i ma però lasciatemi una divagazione fantasiosa…

Se Lorenzo Milani anzichè nascere nel 1923 fosse nato 8 anni dopo durante il passaggio della “linea gotica” a Firenze non avrebbe rischiato di finire militare perchè troppo piccolo. Avrebbe poi forse studiato all’Università di Milano e forse avrebbe dato il là a moderni studi sociologici: infatti tutti i suoi libri sono compendi di sociologia ante litteram…

Forse Dio avrebbe toccato lo stesso il suo animo sensibile e sarebbe stato lo stesso un ottimo prete, ma forse, invece un ottimo sociologo.

Del nostro destino solo Dio è a conoscenza.

Radici?

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Quel giorno di primavera del 1987 in cui conobbi Umberto Bossi (non era nessuno, nemmeno Senatur…) nella prima sede della Lega a Varese, i suoi discorsi politici mi sembrarono davvero insoliti. Parlava di federalismo e di radici. Ma erano anni in cui si sentiva parlare solo di lotta di classe e di destra fascista o peggio di terrorismo… Fui proprio colta alla sprovvista, non ero preparata su quei temi pur essendo laureata in Scienze politiche. Università inutile? Forse.

32 anni dopo mi capita ancora di meditare sul discorso delle radici soprattutto quando assisto alla televisione ai telegiornali pieni di notizie sul dramma degli immigrati oppure quando ascolto i mille dibattiti fra esperti sull’argomento.

Nessuno, proprio nessuno, si pone il problema delle radici.

Quanti immigrati vivono qui da noi? Sono tanti. Non mi riferisco solo a quelli che arrivano sui barconi dall’Africa, ma anche a quelli che arrivano dalla Cina, o dalle Filippine o dal resto del mondo.

A tutti chiediamo d’integrarsi, cioè di assimilare lingua, usi e costumi nostrani. A noi sembra facile, persino ovvio, ma è evidente che per queste persone è una specie di trauma: doversi spogliare delle proprie radici per trapiantarsi in un nuovo paese molto diverso.

Ci sono alcuni che ci si provano e vi riescono più rapidamente: ad esempio chi viene dall’est Europa ha facilità ad imparare l’italiano. Altre comunità, come quella cinese, invece sono molto orgogliose di mantenersi in una sorta di haparteid tutto loro. Altre, come le gang latino-americane, vorrebbero addirittura sopraffarci con la violenza degli slums.

Ma nel loro cuore sono tutti ancora tristi e nostalgici delle loro radici: è umano, è naturale. E’ bio. E’ buonsenso bio!

A questo blog capita spesso di andare contro corrente. Ebbene dire che sradicarsi per immigrare è innaturale e doloroso è un discorso difficile, ma ciò nonostante non va nascosto come fosse polvere sotto il tappeto!

E’ un problema che affrontano tutti coloro che si allontanano dalle loro radici, dalla loro casa e dalla famiglia dove sono nati e cresciuti. Nostalgia e tristezza che vanno ad aggiungersi alle mille difficoltà pratiche del trovare lavoro e mantenersi.

I nuovi arrivati hanno nostalgia. Probabilmente i loro figli nati qui e scolarizzati qui, si radicheranno e saranno italiani senza problemi.

Quando si trapianta una pianta si rischia sempre che non riesca ad adattarsi e che avvizzisca, quando si cattura un animale e poi lo si trasferisce in un nuovo habitat si rischia sempre che non sopravviva: anch’essi soffrono di nostalgia. La natura ha bisogno di radici solide. Anche gli umani sopravvivono meglio vicino alle loro radici. Bisogna avere il coraggio di ammetterlo.

Ogni buon politico, di qualsiasi paese sia, sa che costringere alcuni dei propri concittadini ad emigrare è sbagliato e triste. E’ più ecologico dare a ciascuno la possibilità di fiorire e scilupparsi senza doversi sradicare.

Certo, il libero scambio fra culture ed esperienze arricchisce l’umanità. Ma dovrebbe avvenire non sotto l’impulso del bisogno, ma sotto quello della curiosità culturale.

 

Humus

Buongiorno a tutti,

avrete notato che è circa un anno che il blog batte la fiacca. E’ vero, ma l’anno trascorso era il cinquantesimo dalla morte del mio parente Don Lorenzo Milani e un po’ questa ricorrenza mi ha coinvolta e distratta altrove (mio libro, presentazioni ecc.). Ma non è sufficiente a spiegare i pochi articoli. In realtà si è trattato anche di un anno di grandi cambiamenti politici qui in Italia, difficile starvi dietro e anticiparli. Quando le novità sono troppe e/o troppo impreviste io ho bisogno di lasciare che il tempo le culli nel mio cervellino. Bisogna meditarle, pensarci su, farle sedimentare, un po’ come avviene quando si forma l’humus nel sottobosco.

L’humus è ricco di nutrienti e senza di esso non nasce nuova vita. A volte viene distrutto da un incendio (cioè da una grande novità imprevista), ma le ceneri vanno a formare il nuovo humus in cui germoglieranno nuovi alberi dai semi che sotto vi erano rimasti nascosti.

Questo blog non nasce con l’idea di seguire l’attualità a spron battuto. No, l’idea è quella di meditare e dare degli spunti di riflessione alternativi o migliorativi. Non si tratta di dare dei “like” a questo o a quello, ma di fornire gli srumenti del buonsenso a chi si sente sballottato dalle onde in mare aperto .

Il buonsenso è come una via che ci permette di non sentirci travolti dal nuovo, dal troppo nuovo. Col buonsenso ci possiamo riallineare ai fondamentali della vita, armonizzandoci con la natura. Ecco perchè questo sito si chiama così.

In questi anni in cui si assiste al crollo delle ideologie del ‘900 è proprio il caso di rispolverare il buonsenso, dote di cui siamo tutti provvisti, grazie al cielo. Per alcuni è più facile ed immediato, per altri si tratta di andare a rispolverarlo, facendolo riemergere. Quindi via le incrostazioni  vecchie e ideologiche, spazio alla via naturale: buonsensobio a tutti!

Come si fa? Semplice. Il buonsenso si trova usando fantasia e paradossi. Sembra assurdo, ma è proprio così.

Fantasia. Davanti ad un problema bisogna immaginarsi una soluzione applicata a livello generale. Un po’ come se si fosse gli imperatori del mondo e si dettasse legge a tutti. La fantasia ci aiuta a comprendere dove nascerebbero i problemi e perchè. La vita umana ne gioverebbe? (Intendo riprodursi, dare ai figli quanto serve perchè a loro volta riescano a riprodursi, cioè mezzi e cultura).

Paradosso. Applicare a livello generale è ovviamente un paradosso, ma serve a capire. Il buonsenso è una via mediana perchè come dice il proverbio: “la virtù sta nel mezzo”!

Non ci sarà mai una via che sta bene a tutti e a tutto, ma si potrà trovare così la via che produce meno danni alla natura e quindi alla riproduzione della vita umana.

Per trovare la via del buonsenso-bio non serve nè la fretta nè l’inseguimento dell’attualità, serve invece comprendere le tendenze generali di lungo termine.

E’ necessaria la sedimentazione, la meditatione, l’humus.