L’amianto è un minerale…

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Avevo circa 10 anni quando mio padre Umberto, appassionato di mineralogia, mi presentò l’amianto. Prese in mano una roccia da una cava che stavamo esplorando e mi mostrò alcuni filamenti argentei che sembravano i capelli di quel minerale grigio chiaro: “questo minerale si chiama amianto” mi disse. Era proprio per trovarlo che mi aveva condotta in quella cava rocciosa in una località in Piemonte o in Lombardia che non saprei ricordare. (Forse eravamo nei pressi del Monte San Vittore a Balangero in provincia di Torino?)

L’amianto era nel suo contesto naturale?Apparentemente sì: era un minerale che si trovava mischiato assieme ad altre rocce. Campioni di amianto simili erano sparsi tra le altre rocce della cava un po’ qui, un po’ là. Intorno c’era una verde valle senza abitazioni vicine.

Però era in una cava a cielo aperto: quindi era stata l’azione di scavo dell’uomo che lo aveva esposto all’azione pericolosa del vento… In natura l’amianto è un minerale che se ne sta tranquillo sotto terra!

Mio padre tornò a casa con il suo campione di minerale per la sua collezione e la vicenda per me si chiuse così. Già, perchè in quegli anni anni ancora non si sapeva della malattia causata ai polmoni quando inalano particelle di quei bei filamenti che mi erano sembrati bei capelli argentei!

Ripenso spesso a quell’esperienza soprattutto da quando si è messa in relazione la malattia asbestosi con le fibre di amianto. Penso che per fortuna quella zona era isolata perchè sicuramente lì il vento poteva sollevare le particelle di amianto e renderle pericolose per la salute dell’uomo. Ma chi lavorava in quella cava?

Nel 1967 in Italia ancora si produceva il famigerato Eternit, una specie di tetto ondulato fatto di fibrocemento contenente amianto che serviva per ricoprire capannoni e case: economico, ma velenoso!

Oggi abbiamo il problema di liberarci dell’amianto che in anni passati è entrato nella produzione industriale in tanti contesti. Quando quei prodotti pieni di amianto invecchiano, infatti, rilasciano nell’aria le fibre di amianto che possiamo respirare: fibre che una volta nei polmoni possono far insorgere l’asbestosi una malattia terribile.

Proprio per questo è da circa 25 anni che in Italia è proibito cavare amianto, ma l’amianto è un minerale che è presente in natura e a volte succede anche ciò che non ci si aspetta!

Ad esempio tempo fa negli impasti utilizzati per produrre ceramica nel distretto di Sassuolo si è rilevata la presenza di amianto. Un minerale che non ha niente a che fare con l’impasto per ceramiche. Cosa era successo? Si è scoperto che proveniva da una cava di feldspato in Sardegna nel comune di Oriani. Si cavava feldspato senza problemi finchè ci si è imbattuti in una zona che conteneva una vena di amianto. Un imprevisto. Però quell’amianto nascosto ha rischiato di far ammalare chi ha toccato quella materia prima polverosa e volatile. (Una volta impastata e cotta come ceramica il rischio finisce perchè non è più volatile.)

Ormai in Italia sappiamo che le fibre di amianto sono pericolose e che dobbiamo proteggerci dai rischi derivanti dalla polvere di amianto, ma non siamo in grado di farlo perchè non si sa come fare.

In Germania hanno deciso che dato che l’amianto è un minerale che in natura sta sotto terra, per bonificare basta rimetterlo sotto terra impedendogli così di essere volatile e dannoso.

In Svizzera hanno obbligato tutti coloro che non vogliono disfarsi dei vecchi prodotti con amianto a verniciarli in modo da impedire il formarsi di polvere volatile.

Sarebbe bello che anche in Italia si arrivasse ad avere un protocollo per smaltire l’amianto. Penso ad esempio all’apertura di siti preposti dove poterlo interrare senza danni per chi lo deve maneggiare. A questo scopo si potrebbe rendere obbligatorio anche il fatto di doverlo inertizzare con vernice prima di  maneggiarlo per rimetterlo sotto terra. Oppure ci dobbiamo rassegnare al pericoloso fai da te tipico dell’inventiva italiana? Speriamo di no…

 

Le vere novità

Basta andare in Svizzera per vedere strade, ponti e gallerie manutenuti davvero bene. Laggiù l’efficienza dovuta al federalismo fiscale e alle competenze ben distribuite sono sotto gli occhi di chiunque. Quello che non si vede, ma che qui voglio ricordare sono due aspetti cruciali: in primo luogo i Tir in Svizzera non possono viaggiare se il peso che trasportano è superiore alle 15 tonnellate; in secondo luogo gli svizzeri dirottano la gran parte del trasporto merci sulle rotaie o, a Basilea, sul trasporto sul fiume Reno.

In Italia è richiesto ai Tir di non superare le 30 tonnellate cioè esattamente il doppio del peso! Un raddoppio del peso e una concentrazione del traffico su gomma talmente superiore che c’è da domandarsi se basterebbe essere bravi a manutenere per risolvere i nostri problemi viari.

Penso che al di là delle manutenzioni si ponga sempre di più la questione d’imparare dagli svizzeri anche perchè la loro orografia non è diversa dalla nostrana. Qui, come lì, non si tratta di fare belle strade in pianura, ma di affrontare monti e valli. Meno peso dei Tir e meno Tir significano più longevità delle strade e meno inquinamento!

La riflessione successiva riguarda il chi e il come. Nel momento in cui un nuovo governo emanasse una nuova legge sul peso dei camion chi dovrebbe farla rispettare e come? Quello che rimane delle Provincie dovrebbe essere demandato a seguire tutto: sia la manutenzione stradale sia l’applicazione della legge sui trasporti. Bilance per pesare i camion vicino alle vie di comunicazione da far utilizzare alla polizia stradale quando ferma i camion.

La lezione delle ultime elezioni è che i cittadini hanno rinnovato di molto il Parlamento. Il nuovo governo vuole essere davvero nuovo? Allora ha tre questioni realmente innovative da affrontare al di là dei programmi.

  1. Controllare effettivamente l’applicazione della legge.
  2. Superare le pastoie burocratiche evitando di legiferare con l’ennessima postilla finale che demanda ai famigerati “regolamenti attuativi”.
  3. Controllare il come si sia arrivati a dare le concessioni.

Sì perchè in Italia si fanno belle leggi, ma poi l’applicazione delle stesse è demandata a regolamenti attuativi che vengono delegati alle burocrazie romane, mai elette da nessuno. Se queste non sono d’accordo sul contenuto della legge ritardano all’infinito il regolamento attuativo e quindi l’applicazione delle nuove norme. Oppure, più spesso, infarciscono il regolamento attuativo di mille pastoie burocratiche da rendere l’applicazione della legge difficile. Come si dice: “fatta la legge: trovato l’inganno…”.

Infine siamo davvero sicuri che la via da seguire sia quella di togliere la concessione ad Atlantia? Significa entrare in un gineprario di cavilli e di risarcimenti.

Non sarebbe meglio invece andare a vedere se il bando che ha visto i Benetton vittoriosi è stato fatto secondo tutti i crismi delle leggi italiane e internazionali? Se si potesse trovare delle inadempienze si potrebbe scardinare la concessione dalla base. Si eviterebbero i rischi di dover strapagare i vecchi concessionari.

Questo modo di agire significherebbe, secondo me, portare delle vere novità nel nuovo modo di governare e sarebbe davvero bello…

Carta dove sei?

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Fare la spesa ormai è uno strazio. Nessuno o quasi ti avvolge i prodotti nella carta. Nemmeno al mercato quando compri frutta e verdura!

Quei bei sacchetti di carta beige/marrone che fine hanno fatto? La plastica biodegradabile o normale ci sommerge. Aiuto!

Tutto confezionato in plastica, cellofane e pacchetti vari, persino comprare le uova nell’imballo di cartone sta diventando difficile.

Ah se si potesse ritornare alla carta riciclata, come sarebbe bello…

Alla coop del centro Grancia a Lugano c’è questo bel congegno che serve ad incentivare il riuso delle confezioni in plastica. Sarebbe bello  fosse una cosa diffusa ovunque, che entra nella normalità.

Più carta e meno plastica, sarà così difficile da ottenere?

FS, nuovi vertici e quindi nuove strategie?

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Da ieri Fs ha nuovi vertici. Gianfranco Battisti è amministratore delegato e Gianluigi Vittorio Castelli il nuovo presidente. Il ministro delle infrastrutture e dei trasporti Danilo Toninelli ha scelto di cambiare nella continuità, nel senso che ha promosso manager che già lavoravano all’interno della struttura Fs.

Questo può essere un buon segnale. Si può pensare che finalmente i politici comincino a premiare la competenza. Ok, sarà certamente così, ma come sono stati spesi fino ad oggi i soldi dei cittadini nel servizio ferroviario? Vi è mai stata una strategia? Purtroppo a giudicare da fuori (cioè senza conoscere cifre e verbali interni di Fs) i cittadini hanno l’impressione che ci si muova per impulsi invece che per ragionamenti. Oppure, più che altro per motivi clientelari…

Ora abbiamo un nuovo governo, che si autoproclama del cambiamento, un nuovo ministro veneto e nuovi vertici Fs assisteremo ad un cambio di passo? Avremo finalmente una politica del trasporto ferroviario guidata da una strategia o finiremo come sempre col seguire impulsi del momento, o contraddittori? Sarebbe bello scoprire che le risorse comuni vengono indirizzate al meglio.

Mi spiego. Treni ad Alta Velocità. Progetti che sembrano essere nati più che altro sull’impulso di imitare la Francia. Quando questa nazione si è dotata di una rete ad Alta Velocità noi l’abbiamo seguita a ruota. Senza molto ragionamento. Mi ricordo che ero Presidente del consiglio provinciale di Milano e si discueva del senso che avrebbe avuto avere una linea Tav fra Milano e Genova. Una tratta così breve che i treni non fanno a tempo a raggiungere la massima velocità che già devono cominciare a rallentare per entrare in stazione. Oppure la tratta Est-Ovest che deve attraversare la pianura padana per collegarla con la Spagna e la Slovenia.

Quando iniziò la corsa alla Tav qui da noi avevamo due occhi coperti di salame? In Francia questi investimenti avevano già portato ai primi problemi e quindi già potevamo capire quali sarebbero stati. La Tav dedicata al trasporto veloce dei passeggeri stava mandando in difficoltà la concorrenza dei voli interni francesi. Ebbene noi in Italia volevamo mandare a gambe all’aria la già traballante Alitalia? Evidentemente sì, poichè ci si incamminò sulla scelta strategica della Tav con grande sicumera.

Fu scelta strategica quella? Voglio sperare di no.

Di più: il nostro territorio è appenninico, realizzare qui la Tav significa investire molti più soldi che in Francia perchè costruire in galleria è molto più costoso che stendere i binari all’aperto. Avevamo tutte quelle risorse? Ho molti dubbi in proposito. L’investimento si sarebbe ripagato nel tempo? Chi ha studiato la questione? Che dati hanno esibito?

Fu scelta ponderata bene quella? Ho molte perplessità.

Prima di iniziare l’aventura della Tav le ferrovie si erano dedicate soprattutto al trasporto intermodale. Al nord (del sud non so e, quindi, non dico) si erano investite molte risorse per realizzare nuove stazioni ferroviarie con scambi intermodali per incentivare il rasporto delle merci sui treni diminuendo così l’impatto inquinante del trasporto su gomma. Ma anche allora, giudicando da fuori, ebbi l’impressione che tale scelta fosse dettata da considerazioni impulsive piuttosto che da vera strategia. Si era visto che nell’Europa del Nord il trasporto delle merci avveniva già da anni attraverso le infrastrutture intermodali e ci si orientò così più per imitazione che per vero ragionamento.

Un semplice cittadino come me lo desume da quello che vede oggi semplicemente passando vicino ai nuovi porti intermodali o osservando il passaggio dei treni merci. Il lavoro langue, sono pochi i passaggi di merci sulle nostre linee ferroviarie, molti meno di quelli di qualche anno prima di tutti quei soldi investiti allo scopo di potenziare la capacità delle Fs. Perchè?

Il buonsenso mi indirizza a pensare che in Fs si sia persa la visione strategica (se mai se ne ebbe). Abbiamo investito milioni di euro dei cittadini, ma non li sappiamo far rendere al meglio! Sarebbe buona cosa che ci fosse una costola delle Fs (magari una società collegata) che si occupasse solo di rendere produttivi i nostri porti intermodali. Sarebbe bello che tale società avesse una testa direttiva al nord, magari in Veneto, cioè là dove il trasporto merci incrocia nord, sud, est, ovest e dove le industrie sono più concentrate. Agire in tale direzione vorrebbe dire non aver gettato al vento i soldi spesi fin qui e vorrebbe dire diminuire l’inquinamento dell’aria padana sempre critico. Invece oggi dipende tutto da Roma che tende a disincentivare, pensate che ho notizie certe di aziende che avevano stabilimenti collegati col raccordo ferroviario, che vorrebbero ripristinarlo e a Roma non ne vegono a capo, pare che lì ormai tutti pensino solo al traporto dei passeggeri. Sic!

Almeno ai passeggeri ci si pesasse bene, ma che dire dei disservizi nel trasporto dei pendolari? Che dire del mancato ammodernamento delle linee nel sud e nelle isole? Anche qui si nota una vera e propria mancanza di strategia.

Già, che strategia sarebbe quella della Tav est/ovest? Portare in modo veloce passeggeri dalla Spagna all’Italia? Quanta sarebbe l’utenza? Non credo molta e allora quell’enorme investimento a cosa finirebbe per servire in realtà? A portare in modo super veloce le arance spagnole nei supermercati padani che le venderebbero facendo concorrenza alla produzione del nostro sud? Forse anche questa scelta strategica andrebbe ponderata meglio…

Sarebbe bello che il nuovo ministro Toninelli e i nuovi vertici Fs Battisti e Castelli si riunissero attorno ad un tavolo per parlare finalmente di strategia Fs. Il rispetto dei soldi invesiti dai cittadini lo meriterebbe.

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Radici?

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Quel giorno di primavera del 1987 in cui conobbi Umberto Bossi (non era nessuno, nemmeno Senatur…) nella prima sede della Lega a Varese, i suoi discorsi politici mi sembrarono davvero insoliti. Parlava di federalismo e di radici. Ma erano anni in cui si sentiva parlare solo di lotta di classe e di destra fascista o peggio di terrorismo… Fui proprio colta alla sprovvista, non ero preparata su quei temi pur essendo laureata in Scienze politiche. Università inutile? Forse.

32 anni dopo mi capita ancora di meditare sul discorso delle radici soprattutto quando assisto alla televisione ai telegiornali pieni di notizie sul dramma degli immigrati oppure quando ascolto i mille dibattiti fra esperti sull’argomento.

Nessuno, proprio nessuno, si pone il problema delle radici.

Quanti immigrati vivono qui da noi? Sono tanti. Non mi riferisco solo a quelli che arrivano sui barconi dall’Africa, ma anche a quelli che arrivano dalla Cina, o dalle Filippine o dal resto del mondo.

A tutti chiediamo d’integrarsi, cioè di assimilare lingua, usi e costumi nostrani. A noi sembra facile, persino ovvio, ma è evidente che per queste persone è una specie di trauma: doversi spogliare delle proprie radici per trapiantarsi in un nuovo paese molto diverso.

Ci sono alcuni che ci si provano e vi riescono più rapidamente: ad esempio chi viene dall’est Europa ha facilità ad imparare l’italiano. Altre comunità, come quella cinese, invece sono molto orgogliose di mantenersi in una sorta di haparteid tutto loro. Altre, come le gang latino-americane, vorrebbero addirittura sopraffarci con la violenza degli slums.

Ma nel loro cuore sono tutti ancora tristi e nostalgici delle loro radici: è umano, è naturale. E’ bio. E’ buonsenso bio!

A questo blog capita spesso di andare contro corrente. Ebbene dire che sradicarsi per immigrare è innaturale e doloroso è un discorso difficile, ma ciò nonostante non va nascosto come fosse polvere sotto il tappeto!

E’ un problema che affrontano tutti coloro che si allontanano dalle loro radici, dalla loro casa e dalla famiglia dove sono nati e cresciuti. Nostalgia e tristezza che vanno ad aggiungersi alle mille difficoltà pratiche del trovare lavoro e mantenersi.

I nuovi arrivati hanno nostalgia. Probabilmente i loro figli nati qui e scolarizzati qui, si radicheranno e saranno italiani senza problemi.

Quando si trapianta una pianta si rischia sempre che non riesca ad adattarsi e che avvizzisca, quando si cattura un animale e poi lo si trasferisce in un nuovo habitat si rischia sempre che non sopravviva: anch’essi soffrono di nostalgia. La natura ha bisogno di radici solide. Anche gli umani sopravvivono meglio vicino alle loro radici. Bisogna avere il coraggio di ammetterlo.

Ogni buon politico, di qualsiasi paese sia, sa che costringere alcuni dei propri concittadini ad emigrare è sbagliato e triste. E’ più ecologico dare a ciascuno la possibilità di fiorire e scilupparsi senza doversi sradicare.

Certo, il libero scambio fra culture ed esperienze arricchisce l’umanità. Ma dovrebbe avvenire non sotto l’impulso del bisogno, ma sotto quello della curiosità culturale.

 

Acqua potabile ?

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La microplastica si trova ormai nell’80% dell’acqua che esce dai rubinetti.

Microplastica che entra nel corpo incistandosi nei tessuti. Nessuno ha ancora studiato i danni alla salute nostra e degli animali che ne conseguono: forse è all’origine di tumori, forse dell’Alzehimer, forse addiritura entra nell’apparato riproduttivo causando infertilità…

Infertilità umana, ma forse anche animale ? Spero che gli scienziati si dedichino allo studio dei tessuti incistati sia negi uomini che negli animali, in particolare negli apparati riproduttivi.

Sinceramente chi di noi riuscirebbe a vivere del tutto senza plastica?  La produzione annuale al mondo di plastica è di 300 milioni di tonnellate!

Ormai ovunque utilizziamo plastica e i suoi impieghi sono talmente tanti e svariati che non ci facciamo nemmeno più caso. E’ una materia talmente versatile ed economica che si è registrato un vero e proprio boom del suo utilizzo.

All’inizio i legislatori non l’hanno proprio considerata un problema. Poi però si è compreso che è un materiale altamente inquinante e invadente perchè non è biodegradabile nemmeno in 200 anni!

E’ da poco che in alcuni paesi più avanzati e sensibili vi sono leggi che incentivano l’utilizzo delle bio/plastiche più ecologiche e biodegradabili.

La plastica arriva nei più remoti villaggi e di conseguenza viene abbandomanata nell’ambiente in ogni angolo del pianeta.

E’ un problema che deve riguardare tutti noi, non dobbiamo ignorarlo, ma sarebbe bello che il mondo intero finaziasse i ricercatori che vi si dedicano.

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Il rovescio della medaglia

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Forse quest’estate mentre eravate in vacanza vi è sfuggita una notizia che a prima vista può sembrare buona, ma che ha un pericoloso rovescio della medaglia. Il problema della plastica che inquina è proprio globale! Giusto quindi che la scienza che l’ha creato ora provi a trovare delle soluzioni. La ricercatrice Federica Bertocchini, affiliata al Cnr spagnolo e in forza all’Istituto di biomedicina di Cantabria, a Santander, possiede degli alveari che necessitano di pulizia regolare per eliminare le tarme della cera (Galleria mellonella). Prese le tarme infestanti le ha messe in un normale sacchetto di plastica (polietilene), con sua grande sorpresa dopo un po’ ha notato le tarme uscire libere perchè erano riuscite mangiarsi la plastica. Da qui l’idea di studiarle meglio coinvolgendo anche due biochimici dell’università di Cambridge: Paolo Bombelli e Chris Howe. La ricerca è stata poi pubblicata sulla rivista Current Biology: le larve delle tarme della cera possono mangiare la plastica digerirla e renderla biodegradata!

A prima vista può sembrare una notizia veramente buona: Wow!

Eppure io ci vedo un rovescio della medaglia pericolosissimo per la sopravvivenza dell’intera umanità. Infatti, immaginiamo che si decida di allevare tarme della cera per poi utilizzarle nel riciclo della plastica. Immaginiamo poi che, per un incidente, la sovraproduzione di tarme della cera si disperda nell’ambiente. Immaginiamo infine che gli alveari ne vengano infestati molto più che oggi. Insomma si potrebbe rischiare che le api ne subiscano un grave danno, forse irreparabile. Ma le api sono proprio alla base dell’ecosistema! Senza di esse non vi è impollinazione e fruttificazione. Non c’è bisogno di scomodare Einstein per immaginare che in pochi anni il mondo sarebbe desertificato: l’umanità affammata! Eccolo il grave rovescio della medaglia. Dio non voglia, davvero!!!

La plastica che tanto utilizziamo e di cui non sapremmo più fare a meno sembra proprio un’invenzione demoniaca: potrebbe portare alla fine dell’ecosistema mondiale. Per ora l’unica scelta sensata che abbiamo è quella di bruciarla in forni idonei! Poi dobbiamo cercare di limitarne la produzione, l’utilizzo e la dispersione. Però vi prego, non affidiamoci all’idea di smaltirla tramite le tarme della cera, non dovrà essere quella la strada per essere ecologici! Mai e poi mai!

Credits Foto: Designed by Freepik

Un’idea per gli oceani

Siamo noi umani a creare i disastri ecologici: spetta a noi rimediare. Aprite questo sito:

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Pacific_Trash_Vortex

Sarebbe davvero bello se questo sito internet alla fin fine risultasse una notizia falsa.

La maggior parte del globo è ricoperta dagli oceani, ma questi sono esseri indifesi, nessuno si dà attivamente da fare per rimediare al disastro ecologico della plastica disseminata in essi.

Credo che un’associazione come il WWF dovrebbe prendersi a cuore il problema e organizzare via internet un’azione di raccolta fondi per allestire una grande nave (tipo maxi petroliera) quale spazzina del mare. Dovrebbe essere dotata di attrezzature idonee a pescare la plastica galleggiante. Poi una volta issata a bordo la plastica dovrebbe essere compattata in ecoballe. A questo punto si potrebbe pensare a due azioni diverse.La prima ipotesi prevede che queste ecoballe vengano incenerite a bordo con un impianto dotato di abbattimento fumi. Detto impianto potrebbe fornire energia alla nave stessa. La seconda ipotesi potrebbe invece prevedere che le ecoballe venissero trasbordate a terra e inviate quindi subito a forni inceneritori dotati di moderni abbattitori di fumi e anche idonei a produrre energia per la popolazione locale che le accoglierà traendone profitto.

 

Cibo e plastica

Nel 1963 Natta ebbe il Nobel per aver inventato il Moplen. Io avevo 6 anni, non ricordo il prima; certamente però mia madre quando andava a fare la spesa riceveva merce non confezionata nella plastica e nemmeno la borsa della spesa era in plastica. Del resto non c’erano nemmeno i supermercati.

Ormai invece fare la spesa equivale a riempirsi la pattumiera di contenitori in plastica usa e getta. Eppure la plastica è un materiale indistruttibile. Perché lo consideriamo “usa e getta”?

E’ vero ci sono dei timidi accenni d’inversione di marcia: in effetti in pochi super si può arrivare col flacone vuoto e riempirlo di detersivo, pagando solo il contenuto e non il contenitore. Ma sarebbe bello che ci si sforzasse di più nel riutilizzare i contenitori.

Sarebbe bello che anche le vaschette in plastica della frutta e della verdura entrassero nel giro del riutilizzo. Io compro una vaschetta di pomodori e poi a casa la metto da parte. La riporterò vuota al super la prossima volta e avrò un mini premio. In questo la fantasia del marketing può sbizzarrirsi: ad esempio ogni 20 vaschette vuote un bollino, o uno sconto, o…

L’alternativa sarebbe quella di non utilizzare più la plastica e il polistirolo per le vaschette della frutta e della verdura. Sarebbe bello che in tutti i punti vendita si passasse a confezioni ecologiche biodegradabili.

Le persone che fanno la spesa al mercato sono un po’ più ecologiche di quelle che vanno al super: al mercato frutta verdura vengono avvolte nella carta. Infine però tutto viene messo nei sacchetti e qui …

Chi va al super ha il vantaggio di vedere che i sacchetti sono biodegradabili, mentre chi va al mercato spesso si trova a tornare a casa con buste di plastica non ecologiche, del vecchio tipo, anche se la legge lo vieterebbe (ma dove sono i controlli?).

Insomma fare  la spesa e non inquinare rimane sempre molto difficile, un virtuosismo per pochi molto attenti e con grande disponibilità di tempo e mezzi. Invece sarebbe bello fosse la norma, sarebbe bello fosse facile e ovvio per tutti riutilizzare ed essere premiati.

Un premio subito dal super e un premio per le prossime generazioni che non saranno soffocate da montagne di plastica (avete presente  Wall-e?)…

 

Cin cin cinese

Il 22 settembre 2016 si è tenuta in Cina una giornata dedicata al vino italiano. Si è scelto il 22 perché in cinese quel numero si pronuncia come vino.

I nuovi ricchi e ricchissimi della Cina amano circondarsi di lusso “Made in Italy” non fa eccezione, quindi, nemmeno il vino.

Le ordinazioni di vino italiano sono fioccate talmente numerose che ancora oggi, ai primi di giugno dell’anno dopo, non si è riusciti a soddisfarle tutte!

Ottimo, per la nostra economia vitivinicola e per tutto l’indotto che ne consegue.

Un prodotto di lusso come il vino italiano deve essere venduto in bottiglia non nei cartoni.

Questo fatto ovvio non è stato però esente da problematicità. L’imballaggio delle bottiglie ha dovuto subire attente valutazioni affinché il lungo percorso via terra in Cina non causasse danni irreparabili. I nostri ingegneri hanno risolto brillantemente il problema. Anche le vetrerie si sono dovute adattare alla bisogna…

Però c’è un però grande come una casa. L’esportazione di grandi quantità di bottiglie di vetro si riverbera sulla produzione. Mettiamo che l’anno corrente preveda nuove massicce ordinazioni di vini italiani (ma lo stesso discorso si allarga ai vini francesi ecc.). Sarebbe una buona notizia per certi versi, ma alla lunga si può prevedere una carenza di materia prima per produrre le bottiglie.

Riciclare è cosa buona, bella e giusta. Il vetro è la materia che si ricicla meglio e anche noi italiani siamo bravi in questo settore. Ebbene se molto del vetro che esce dalle nostre vetrerie, anche se prodotto da vetro riciclato, arriva in Cina e là rimane, come faremo da qui a qualche anno?

Fino ad ora sono stati i cinesi ad arricchirsi con la nostra carta da macero: acquistata qui a poco prezzo, riportata in Cina riempiendo le stive vuote delle navi che avevano appena scaricato prodotti made in Cina per il nostro mercato e poi utilizzata in Cina per produrre nuovi imballaggi degli stessi prodotti destinati agli europei. Un circolo perfetto, un business lucroso.

Ma per il vetro? Non sarà altrettanto facile. Il vetro si frantuma in mille pezzi. Se dovesse rimanere in Cina potrebbe finire che anche il riciclo avverrà laggiù. Un’ipotesi tutt’altro che peregrina.

Da un business oggi qui da noi, ad un business domani là da loro…

Forse sarebbe bello che anche nel vino si arrivasse al consumo chilometro zero? Non so, ai posteri l’ardua sentenza.