Un’idea per gli oceani

Siamo noi umani a creare i disastri ecologici: spetta a noi rimediare. Aprite questo sito:

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Pacific_Trash_Vortex

Sarebbe davvero bello se questo sito internet alla fin fine risultasse una notizia falsa.

La maggior parte del globo è ricoperta dagli oceani, ma questi sono esseri indifesi, nessuno si dà attivamente da fare per rimediare al disastro ecologico della plastica disseminata in essi.

Credo che un’associazione come il WWF dovrebbe prendersi a cuore il problema e organizzare via internet un’azione di raccolta fondi per allestire una grande nave (tipo maxi petroliera) quale spazzina del mare. Dovrebbe essere dotata di attrezzature idonee a pescare la plastica galleggiante. Poi una volta issata a bordo la plastica dovrebbe essere compattata in ecoballe. A questo punto si potrebbe pensare a due azioni diverse.La prima ipotesi prevede che queste ecoballe vengano incenerite a bordo con un impianto dotato di abbattimento fumi. Detto impianto potrebbe fornire energia alla nave stessa. La seconda ipotesi potrebbe invece prevedere che le ecoballe venissero trasbordate a terra e inviate quindi subito a forni inceneritori dotati di moderni abbattitori di fumi e anche idonei a produrre energia per la popolazione locale che le accoglierà traendone profitto.

 

Cibo e plastica

Nel 1963 Natta ebbe il Nobel per aver inventato il Moplen. Io avevo 6 anni, non ricordo il prima; certamente però mia madre quando andava a fare la spesa riceveva merce non confezionata nella plastica e nemmeno la borsa della spesa era in plastica. Del resto non c’erano nemmeno i supermercati.

Ormai invece fare la spesa equivale a riempirsi la pattumiera di contenitori in plastica usa e getta. Eppure la plastica è un materiale indistruttibile. Perché lo consideriamo “usa e getta”?

E’ vero ci sono dei timidi accenni d’inversione di marcia: in effetti in pochi super si può arrivare col flacone vuoto e riempirlo di detersivo, pagando solo il contenuto e non il contenitore. Ma sarebbe bello che ci si sforzasse di più nel riutilizzare i contenitori.

Sarebbe bello che anche le vaschette in plastica della frutta e della verdura entrassero nel giro del riutilizzo. Io compro una vaschetta di pomodori e poi a casa la metto da parte. La riporterò vuota al super la prossima volta e avrò un mini premio. In questo la fantasia del marketing può sbizzarrirsi: ad esempio ogni 20 vaschette vuote un bollino, o uno sconto, o…

L’alternativa sarebbe quella di non utilizzare più la plastica e il polistirolo per le vaschette della frutta e della verdura. Sarebbe bello che in tutti i punti vendita si passasse a confezioni ecologiche biodegradabili.

Le persone che fanno la spesa al mercato sono un po’ più ecologiche di quelle che vanno al super: al mercato frutta verdura vengono avvolte nella carta. Infine però tutto viene messo nei sacchetti e qui …

Chi va al super ha il vantaggio di vedere che i sacchetti sono biodegradabili, mentre chi va al mercato spesso si trova a tornare a casa con buste di plastica non ecologiche, del vecchio tipo, anche se la legge lo vieterebbe (ma dove sono i controlli?).

Insomma fare  la spesa e non inquinare rimane sempre molto difficile, un virtuosismo per pochi molto attenti e con grande disponibilità di tempo e mezzi. Invece sarebbe bello fosse la norma, sarebbe bello fosse facile e ovvio per tutti riutilizzare ed essere premiati.

Un premio subito dal super e un premio per le prossime generazioni che non saranno soffocate da montagne di plastica (avete presente  Wall-e?)…

 

Cin cin cinese

Il 22 settembre 2016 si è tenuta in Cina una giornata dedicata al vino italiano. Si è scelto il 22 perché in cinese quel numero si pronuncia come vino.

I nuovi ricchi e ricchissimi della Cina amano circondarsi di lusso “Made in Italy” non fa eccezione, quindi, nemmeno il vino.

Le ordinazioni di vino italiano sono fioccate talmente numerose che ancora oggi, ai primi di giugno dell’anno dopo, non si è riusciti a soddisfarle tutte!

Ottimo, per la nostra economia vitivinicola e per tutto l’indotto che ne consegue.

Un prodotto di lusso come il vino italiano deve essere venduto in bottiglia non nei cartoni.

Questo fatto ovvio non è stato però esente da problematicità. L’imballaggio delle bottiglie ha dovuto subire attente valutazioni affinché il lungo percorso via terra in Cina non causasse danni irreparabili. I nostri ingegneri hanno risolto brillantemente il problema. Anche le vetrerie si sono dovute adattare alla bisogna…

Però c’è un però grande come una casa. L’esportazione di grandi quantità di bottiglie di vetro si riverbera sulla produzione. Mettiamo che l’anno corrente preveda nuove massicce ordinazioni di vini italiani (ma lo stesso discorso si allarga ai vini francesi ecc.). Sarebbe una buona notizia per certi versi, ma alla lunga si può prevedere una carenza di materia prima per produrre le bottiglie.

Riciclare è cosa buona, bella e giusta. Il vetro è la materia che si ricicla meglio e anche noi italiani siamo bravi in questo settore. Ebbene se molto del vetro che esce dalle nostre vetrerie, anche se prodotto da vetro riciclato, arriva in Cina e là rimane, come faremo da qui a qualche anno?

Fino ad ora sono stati i cinesi ad arricchirsi con la nostra carta da macero: acquistata qui a poco prezzo, riportata in Cina riempiendo le stive vuote delle navi che avevano appena scaricato prodotti made in Cina per il nostro mercato e poi utilizzata in Cina per produrre nuovi imballaggi degli stessi prodotti destinati agli europei. Un circolo perfetto, un business lucroso.

Ma per il vetro? Non sarà altrettanto facile. Il vetro si frantuma in mille pezzi. Se dovesse rimanere in Cina potrebbe finire che anche il riciclo avverrà laggiù. Un’ipotesi tutt’altro che peregrina.

Da un business oggi qui da noi, ad un business domani là da loro…

Forse sarebbe bello che anche nel vino si arrivasse al consumo chilometro zero? Non so, ai posteri l’ardua sentenza.

Non c’è due senza tre! Mio nuovo libro…

Domani, lunedì 22 maggio 2017, al Salone del libro di Torino, presenterò il mio ultimo libro: “Don Lorenzo Milani, con la mente aperta e il cuore accogliente” – edizioni Imprimatur. Siete tutti invitati a venire alle ore 18,00 presso la Sala Music’n Books!

Ci sarà un dibattito dal titolo: “Dalla parte degli studenti”. Parteciperanno insieme a me, il coautore del libro, prof. Angelo Lucio Rossi, inoltre l’autore del libro “Bullismo e cyberbullismo” ed. Imprimatur , Alessandro Meluzzi e infine Marco Baldassarri.

Ho scritto questo libro in circa due mesi, è stato un instant book, in occasione del cinquantesimo della morte di Don Lorenzo che cadrà il 26 giugno prossimo. L’editore mi ha convinto a raccontare come abbiamo vissuto la vicenda di Don Milani noi della sua famiglia allargata. Io avevo solo dieci anni quando Don Lorenzo è morto. Ho quindi preferito raccontare ai miei nipoti, nati dopo il 2000 e a tutti i loro coetanei le vicende di quegli anni e di come gli scritti di Don Milani hanno cambiato il nostro paese e, di riflesso, anche la mia vita. Il prof. Rossi ha concluso il libro con una panoramica su cosa sta cambiando oggi nella scuola italiana che si ispira all’esperienza della scuola di Barbiana.

Nel frattempo Papa Francesco ha fatto importanti dichiarazioni su Don Lorenzo Milani riconoscendogli la capacità di grande educatore. Una cosa che davvero mi ha commosso: dopo i tanti anni in cui Don Lorenzo ha sofferto per le incomprensioni della curia fiorentina…

In due mesi non si può scrivere molto, però mi sono data il compito di ricollocare la figura del cugino di mia mamma Lalla in un quadro storico e personale più veritiero di quanto non sia avvenuto negli anni passati. Don Lorenzo è stato tirato per la tonaca dalla sinistra in modo eccessivo e inappropriato, spero di essere riuscita nella mia opera di ricerca storica ed anche in quella di empatia dovuta alle comuni origini famigliari… Buona lettura!

Etichetta, etichettare

Il 26 giugno 2017 saranno passati 50 anni dalla morte di Don Lorenzo Milani. “La centralità della parola” e “I care” (me ne importa) sono due frasi che ce lo rammenteranno sempre, quasi un suo marchio di fabbrica. Infatti lui nella sue scuole di San Donato e di Barbiana focalizzò come prioritario l’insegnamento dell’italiano ai suoi ragazzi. Ho intitolato questo articolo etichette, etichettare perché sono due parole che vorrei mettere a fuoco quest’oggi.

Etichetta, quanti significati ha? Tanti. Ad esempio si parla di etichetta quando ci si comporta secondo il galateo più severo: “badare all’etichetta”.

Ma occorre anche “badare all’etichetta” se si va al supermercato a fare la spesa. Solo che qui la frase assume un significato molto diverso: si tratta di leggere bene gli ingredienti scritti sull’etichetta del prodotto che si sta acquistando per essere sicuri di comprare un prodotto che va bene per noi.

E’ molto importante che le etichette siano scritte in modo chiaro, leggibile anche da chi ha poche diottrie e che siano esaurienti: vogliamo sapere da dove vengono i prodotti che stiamo per acquistare, tutti i prodotti. Non solo quelli alimentari.

Vogliamo sapere come sono composti e sarebbe bello anche che avessero vari bollini: uno che ci dicesse se sono prodotti rispettando l’ambiente; uno se sono biologici; un’altro se sono prodotti senza lavoro minorile o sfruttamento dei più deboli, col cottimo ad esempio…

Ecco vorremmo etichettare tutto in modo chiaro e informando bene i consumatori.

Etichettare in questo modo ci piacerebbe. Ma c’è un modo di etichettare che invece sarebbe bello smettesse di esistere.

Quale? Quello che di solito fa la gente verso le altre persone. Di solito ci informiamo superficialmente su di loro, magari usando i social. Ci formiamo così un’idea preconcetta.

Questo modo di etichettare tutte le persone è comodo e facile. Però è negativo perché preclude a ciascuno, anche a noi stessi, la possibilità di cambiare idea, di pensare oggi una cosa e poi ripensarci dopodomani e vederla diversamente.

Oggi su un social scriviamo una cosa. Questa ci si appiccica addosso come una etichetta che non sarà mai più possibile staccare: colla ultraresistente! Non riusciremo nemmeno ad attaccarci sopra una etichetta diversa e nuova per nascondere la vecchia, impossibile (sic!).

Quindi la sola soluzione è che si sia tutti un po’ meno pigri mentalmente: Ognuno ha diritto/dovere di cambiare idea: basta con i pre-giudizi. Smettiamola di essere superficiali nei rapporti con gli altri!

Glocal è meglio

Navi merci lunghe 400 metri piene di container. Per farli sbarcare tutti occorrono qualcosa come 20 mila Tir, o alcune centinaia di treni-blocco specializzati.

Questo è il futuro che ci si sta aspettando a Livorno dove si sta per costruire una nuova darsena in grado di accogliere simili giganti del mare.

Il 1° dicembre 2001 la Cina è entrata a far parte del WTO. A questa data si può far risalire ufficialmente l’inizio della globalizzazione.

15 anni dopo negli Usa, inaspettatamente, è diventato presidente Donald Trump: il suo programma politico dovrebbe segnare un ridimensionamento della globalizzazione. Gli operai americani che hanno visto trasferirsi le loro industrie manifatturiere in Cina ora sono stanchi e hanno votato chi ha promesso di far tornare le industrie e il lavoro.

Probabilmente molte industrie torneranno a produrre negli Usa per via della nuova politica delle tasse che premia chi produce negli Stati Uniti e penalizza chi ne rimane fuori.

Siamo proprio sicuri di voler accogliere 20 mila tir sulle nostre strade e sui nostri malandati ponti ogni volta che attraccherà una nave?

Siamo proprio sicuri che le previsioni logistiche del porto di Livorno saranno quelle più probabili?

Non sarebbe meglio capire come evolverà il commercio mondiale?

Oppure c’è chi pensa che le merci prodotte in Cina che ora servono ad alimentare il mercato negli Usa, dopo Trump, verranno semplicemente dirottate sul mercato d’Europa?

Glocal sarebbe molto meglio. Cioè lasciare ai trasporti a lungo raggio solo le merci e le materie prime che non si possono recuperare più vicino.

L’ambiente sarebbe più pulito e il lavoro a “km zero” se ne avvantaggerebbe.

Anche i cinesi avrebbero condizioni di lavoro migliori e qualità della vita più alta: le merci che producono finirebbero per alimentare il loro mercato interno che non è certo piccolo!

Macro/micro problema

Aiuto! Abbiamo e avremo sempre più un problema!

Macro problema perché è già enormemente diffuso e si sta diffondendo in modo esponenziale.

Micro perché si tratta delle micro-plastiche.

La plastica che non è biodegradabile, lo sanno tutti ormai.

Nel mondo la plastica subisce di solito tre destini: il peggiore è quando finisce dispersa nell’ambiente; quello un po’ meno peggio è quando finisce nella raccolta differenziata. Infine può finire come carburante (è pur sempre un derivato del petrolio) nei forni ad alta temperatura. Forni che possono produrre teleriscaldamento, oppure possono far parte di un impianto cementizio, oppure possono semplicemente essere inceneritori di rifiuti indifferenziati.

In Italia questa opzione di bruciare la plastica non è amata e si cerca di non usarla per via del fatto che la combustione produce diossina e altri fumi tossici. All’estero è molto più diffusa però hanno usato la tecnologia per risolvere il problema dei fumi: hanno aumentato la temperatura dei forni,  hanno  allungato i camini e li hanno dotati di abbattitori di fumi tecnicamente migliori rendendoli cioè in grado di captare più sostanze dannose, in alcuni casi hanno anche deciso di convogliare i fumi tossici sotto terra come gas.

Comunque nel mondo il problema delle micro-plastiche è sempre più enorme perché incontrollabile e irrisolvibile. Per risolverlo occorrerebbe un’invenzione geniale: la calamita da plastica (ma mi sembra veramente fantascienza).

Qualsiasi plastica (eccetto quella che finisce in un inceneritore a norma) tende con gli anni non a bio-degradarsi cioè a sciogliersi nell’ambiente rientrando nel ciclo biologico in modo naturale, ma a spezzarsi e a ridursi in particelle sempre più microscopiche.

Queste microparticelle entrano nell’alimentazione di pesci, uccelli, mucche e animali selvatici in modo del tutto inconsapevole: sono microscopiche.

Recentemente ho visto in un documentario delle immagini che mi hanno veramente inquietato. In un laboratorio si osservava la carne di un pesce al microscopio. Ebbene solo col microscopio si riusciva a vedere un frammento microscopico di plastica rossa incastrato tra le fibre muscolari del pesce! Ma si vedeva bene proprio perché era rossa la plastica e i muscoli del pesce erano rosa chiari. E se invece la plastica fosse stata trasparente l’avemmo vista in quel muscolo? Ho paura di no. Il sangue di quel pesce aveva trasportato nelle fibre dei suoi muscoli assieme agli alimenti naturali e sani anche la micro-plastica. I suoi muscoli non sapendo come utilizzare quella cosa innaturale l’avevano incistata tra le loro fibre. Il pesce non ha sviluppato malattie (o per lo meno è stato pescato prima la plastica gliele provocasse e che apparisse visibilmente malato). Quindi quel pesce ad occhio nudo, cioè alla vista del consumatore e anche dei controllori alimentari quali i nostri Nas appariva perfetto: ottimo da mangiare.

Allora la conclusione logica è che miliardi di miliardi di altri frammenti microscopici, sono già in circolo nel mondo e nella catena alimentare, anche quella che arriva fino a noi umani.

Come possiamo essere sicuri che non rientrino tra le cause di malattie e tumori? Nessuno ha ancora fatto ricerche in tal senso.

Sappiamo che i macro pezzi di plastica finiscono negli stomaci dei cetacei o degli uccelli, e che spesso sono tali e tanti che li uccidono. E’ facile per qualsiasi scienziato fare ricerche causa/effetto in questi casi perché questi pezzi di plastica sono visibili a occhio nudo. Se si pesca un pesce o un mammifero che ha nello stomaco dei sacchetti di plastica o se si trova una tartaruga intrappolata in un groviglio di plastica sappiamo vedere tutti quel danno e possiamo anche provare a limitarlo. Lo stesso non si può dire delle micro-plastiche.

Da quando alla fine del secolo scorso (circa 1950) si è diffuso l’uso della plastica ad oggi se ne è prodotta tantissima nel mondo e se ne produce ancora.

Evitare di produrre plastica non servirebbe a nulla perché il danno è già tra noi. Inoltre sostituire la plastica col vetro o coi metalli e il legno sarebbe ancora meno ecologico perché queste materie prime non sono sufficienti a coprire i bisogni di tutta la popolazione mondiale.

Che fare allora?

Come possiamo e potremo impedire il diffondersi delle micro-particelle? La calamita non esiste né esisterà. L’unica cosa che già esiste è l’incenerimento.

Sarebbe bello riuscire in tutto il mondo a portare negli inceneritori idonei tutta la plastica già prodotta e utilizzata fino ad oggi. Sarebbe bello riuscire a farlo il prima possibile, cioè quando è ancora macroscopica cioè visibile ad occhio nudo.

Per quella già microscopica c’è solo da incrociare le dita e sperare che nuovi studi scientifici e medici possano dimostrare che la micro-plastica incistata nel nostro corpo non ci produce danni. Ma ho i miei dubbi.

Sappiamo già che le micro-fibre di amianto incistate nei polmoni provocano l’asbestosi, perché per le micro-plastiche dovrebbe essere diverso?

Aiuto! Abbiamo un problema!

Tutto il movimento green del mondo, e soprattutto quello italiano, al momento il più irriducibile sul tema, dovrebbero smetterla di opporsi all’incenerimento della plastica nei forni idonei.

 

Via col vento

L’Italia è una lunga penisola con due grandi isole e vari arcipelaghi. La penisola è montuosa e lunga e stretta. Al sud si producono soprattutto beni alimentari, al nord soprattutto beni industriali. Gli scambi commerciali nord/sud sono notevoli. Logica vorrebbe che i nostri mari fossero solcati da grandi navi da trasporto dei camion.

Ebbene la logica in Italia non è mai così logica… Infatti storicamente i politici del nostro paese hanno privilegiato il trasporto su gomma per favorire le grandi industrie automobilistiche del nord. Per cui abbiamo investito più sulle strade che sui porti. Inoltre i porti erano/sono presidiati da forti cooperative di sinistra sindacalizzate e agguerrite con cui era difficile instaurare rapporti di lavoro moderni. Per cui i nostri porti sono stati ben lungi dall’assomigliare a quelli del grande nord europeo. Amsterdam ecc. ci hanno sempre surclassati.

Però i politici italiani sono anche da sempre famosi per i loro bla-bla e difatti io ho memoria che già 40 anni fa si parlava (solo parlava) di investire sui porti per realizzare le “autostrade del mare”. Nel frattempo  qualcosa (molto) è cambiato a livello politico e industriale: i vecchi partiti Dc, Psi e Pci sono spariti mentre le grandi industrie automobilistiche hanno de-localizzato e i sindacati dei portuali sono addivenuti a più miti consigli.

Finalmente si può riprendere a realizzare le autostrade del mare! Ed ecco che infatti cominciano a riapparire sui giornali le prime notizie al riguardo. Pare che negli ultimi anni si siano fatti buoni progressi incominciando ad investire nel settore sia per quanto riguarda le navi da trasporto dei camion sia per quello che riguarda le infrastrutture portuali e gli interporti. Però pare che in molte realtà manchi “l’ultimo miglio”, cioè l’adeguamento della viabilità locale per raccordare le autostrade ai porti. Comunque sembrerebbe che la via delle autostrade del mare cominci a prendere spessore e che sia calcolabile un aumento dei traffici e che questo cominci ad essere significativo.

Anche gli ecologisti dicono di essere contenti: meno trasporto su strada significa, infatti, meno inquinamento. Però, secondo me, c’è un però… Immaginiamo che si riesca ad arrivare ad un trasporto delle merci via mare più significativo: diciamo di riuscire a trasferire dalle strade al mare il 50% dell’attuale trasporto su gomma. Ebbene l’aria che respiriamo se ne avvantaggerebbe, ma l’acqua dei nostri mari che fine farebbe? Si sa  che le navi hanno la cattiva abitudine di pulire le loro cisterne in alto mare e noi lo capiamo quando le nostre spiagge si riempiono di schiume o di pallottole di catrame. Se già il fenomeno si è evidenziato fin qui, che i trasporti sono ancora relativamente pochi, cosa succederà in futuro? Rischiamo di rovinare le nostre belle coste e addio ecosistemi e anche industria turistica!

Bisogna pensarci prima. Bisogna pensarci ora!wind surf

Sarebbe bello che politici, armatori e cittadini ne fossero consapevoli ora prima di investire soldi in grandi navi inquinanti e dover poi piangere sui danni fatti.

Sarebbe bello se i governi favorissero con adeguati incentivi fiscali l’investimento su navi da trasporto più ecologiche anche perché ormai sono fattibili grazie alle nuove tecnologie: moderni velieri alimentati con motori a gas. Sono queste le navi che dovrebbero solcare i nostri bei mari ed avvicinarsi alle nostre belle coste. Ormai abbiamo anche la possibilità di rifornirle di gas in alto mare con gli Olt come quello attivo davanti alla costa livornese. Sarebbe bello che tutti avessero lo sguardo avanti per garantire un futuro migliore a tutti.

Essere o non essere – ridere o non ridere

Siamo bombardati da spam. Fra queste fa capolino spesso un commento salace o spiritoso all’attualità politica italiana o straniera. Il sorriso o la risata spesso ci scappa, però c’è un rovescio della medaglia. Il fatto che girino le battute spiritose sarebbe indice di interesse per i fatti del giorno. La satira nell’epoca moderna c’è sempre stata.

Ma i proverbio popolare dice saggiamente: il riso abbonda sulla bocca degli stolti…

Anche nell’epoca antica esistevano i giullari del re. Servivano a divertire il re e la sua corte: chi ride non pensa ad abbattere il re, non fa congiure….

L’ipotesi è che di troppe battute si avvantaggi il governo in carica (è un discorso generico non riferito al qui e adesso).

Il secondo proverbio che ci dà da riflettere è: il troppo stroppia.

Ricevendo tante battutine tutti i giorni finiamo per sorridere e tutto finisce lì. Non ci viene voglia di impegnarci nella società per migliorare le cose. Affrontiamo i problemi con superficialità e una scrollata di spalle.

Il terzo proverbio è: fare di tutte le erbe un fascio.

Finiamo infatti col pensare che tutti i politici siano uguali e che non si possa migliorare alcunché. Diventiamo fatalisti e sfiduciati e ciò è male, malissimo.

E’ davvero questo quello che vogliamo insegnare alle nuove generazioni?

Oppure pensiamo di poter risolvere i problemi con un semplice click o con un “mi piace” e fatto questo riteniamo di aver chiuso la questione.

Infine vorrei chiudere con una considerazione diversa: dice il Tao che i saggi spesso sorridono delle piccolezze umane perché sanno che la verità è più complessa. Ritenete che questo continuo sorridere ci porterà ad essere tutti dei saggi taoisti? Non mi farei illusioni…

Io mi contenterei di sapere che sorridere ci aiuta a divenire tutti elettori più partecipi e attenti a come e chi votiamo.

Inoltre bisogna stare molto attenti anche alle bufale che girano in rete. Basta niente per trasformare un buon candidato in una pessima persona: basta una calunnia in rete.

La democrazia è una cosa estremamente delicata, va coltivata con cura da tutti. I nostri antenati hanno fatto battaglie sanguinose per conquistarla, spero non sarà la nostra epoca di social ad affossarla.

Pc e smart phone in dose omeopatica

Scrivere poco. Scrivere solo quando si è sicuri di avere qualcosa da dire. Quando ho aperto il blog non volevo farmi travolgere dal mezzo. La mia vita di prima non ne doveva essere stravolta altrimenti mi sarei sentita alienata da me stessa. Essere connessi sempre è disumanizzante, si rischia di perdere la capacità di riflettere con se stessi e la capacità di guardare negli occhi le persone e comprenderle.

L’Iphone compie 10 anni, ormai i Pc sono su ogni scrivania, abbiamo il mondo a portata di mano, di occhi e di orecchie, ma l’umanità rischia di perdersi ed è un problema che è anche difficile da percepire per la maggior parte delle persone iperconnesse. Come puoi capire di aver bisogno di silenzio se non ne hai mai gustato i pregi? Come puoi sentire la mancanza di un contatto visivo con gli amici quando sei abituato a frequentarli quasi solo on line? E l’empatia? Dove può essere andata a finire se anche quando si è insieme non si staccano gli occhi dallo schermo del cellulare?

Sembra che per rapportarsi con gli altri sia suffciente digitare, guardare foto, oppure ascoltare, ma l’empatia è molto più intima e profonda e solo con i vecchi sistemi di frequentarsi può nascere e svilupparsi.

La mia generazione, almeno, anche se si è fatta travolgere ed è iperconnessa, conserva un lontano ricordo di come era vivere senza la rete. Ma le nuove generazioni, come potranno sapere che stanno perdendo la loro umanità se non l’hanno mai vissuta davvero?

Siamo arrivati al punto in cui gli adulti che si ricordano come eravamo più umani senza wifi, si devono porre il problema di non far perdere l’umanità ai giovani garantendo loro tempi e spazi lontani dagli smart phone, in cui possano essere persone vere e non prolungamenti della rete.

Sarebbe bello se nelle scuole si usasse l’orario pomeridiano, quello fuori dalle lezioni, per vivere. Uno spazio e un tempo in cui si vive senza essere connessi. Lì si farebbe esperienza di umanità, amicizia, empatia. Solo vivendo davvero alcune ore al giorno i giovani potranno scoprire che il mondo può essere interessante e vivido anche senza smart phone. E per farlo hanno bisogno di tempi e spazi dove ci si frequenta senza utilizzare la rete, luoghi e modi dove si visita il mondo e la natura senza schermi.

Sarebbe bello che si riuscisse tutti a usare la rete in dosi omeopatiche!