8 anni

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Nel XX secolo 8 anni separano una generazione dall’altra. Ho da poco letto il nuovo libro di Pietro Ichino “La casa nella pineta” e ne ho avuto la prova.

Un libro scritto molto bene che si legge volentieri. Un libro un po’ come il mio: partendo dalle radici familiari racconta l’impronta che ne ebbe la sua infanzia per poi spiegare il perchè delle sue scelte da adulto.

Ebbene, lui, come me, ha radici forti di famiglia. Lui, come me, una infanzia milanese e in una casa avita in Toscana. Lui, come me, un imprinting dovuto al rapporto diretto con Don Lorenzo Milani. Ma… Ma 8 anni hanno fatto una grande differenza. Sì perchè lui ha 8 anni più di me.

Come è possibile che aver incontrato sulla propria strada Don Milani da bambino, ma 8 anni prima lo abbia portato ad un impegno nel lavoro e nella politica tutto a sinistra, mentre io, 8 anni dopo, ho sì avuto come prima tessera quella del Pci, ma poi ho virato verso il federalismo della Lega?

Lui da Don Milani ha preso il sentirsi in dovere di rendere. Rendere i privilegi di un’istruzione borghese a chi non l’aveva avuta. Lo ha fatto attraverso l’impegno nel sindacato della Cgil e nella sinistra. E’ divenuto un ottimo giuslavorista, ma molto contestato proprio da  chi era più a sinistra. Ha persino dovuto vivere sotto scorta per via delle minacce dei terroristi!

Io da Don Lorenzo ho preso il motto: “I CARE”. Sì, perchè non ho fatto a tempo a godere di un’istruzione borghese. No, sulla scuola era passato un ciclone che aveva distrutto tutto senza ricostruire alcunchè…

Già: la mia generazione ha vissuto il declino delle idee della sinistra proprio a partire dal clima di violenza instauratosi fin nelle scuole e nelle università dopo il 1968. Ho visto di persona come “Lettera ad una professoressa” fosse strumentalizzato più che compreso ed applicato. Da qui il disamore per  quella sinistra massimalista, becera. Da qui il ripiegarsi in famiglia durante gli anni della “Milano da bere” cioè dei socialisti alla Craxi.

Ma poi ecco riemergere I CARE forte; quando si trattò di scrollarsi di dosso tutta quella corruzione. Senza la presenza di una Lega vincente la magistratura milanese non avrebbe avuto la forza di un’indagine come quella che fu di “Mani pulite” che si abbattè sui socialisti rampanti e grifagni. Da lì si arrivò all’indignazione popolare che portò la Lega al governo di Milano con Formentini. Una vittoria straordinaria. In due anni la Lega passò dal 6% a Milano ad avere il sindaco e una giunta che era perbene. I CARE aveva vinto!

Berlusconi fu la reazione del vecchio sistema a quella forza politica così nuova e dirompente. Ci sono voluti più di 25 anni e un nuovo secolo, il XXI, per risollevare l’indignazione popolare con il movimento dei 5 stelle…

L’insegnamento che ne traggo? Ogni secolo ha una sua dinamica. Nell’800 le innovazioni tecnologiche erano solo agli albori. All’inizio del secolo la forza lavoro era soprattutto contadina, alla fine cominciavano a prendere piede le industrie e gli operai. In quegli anni le generazioni si susseguivano ad un ritmo certamente più blando e forse erano più dovute alle guerre: i famosi “coscritti” commilitoni che avevano vissuto le medesime battaglie. Oggi nel 2000 con l’avvento dell’informatica tutto avviene ad una velocità molto più frenetica. Ma nel ‘900, 8 anni era veramente un salto generazionale.

La storia non si fa nè con i se nè con i ma però lasciatemi una divagazione fantasiosa…

Se Lorenzo Milani anzichè nascere nel 1923 fosse nato 8 anni dopo durante il passaggio della “linea gotica” a Firenze non avrebbe rischiato di finire militare perchè troppo piccolo. Avrebbe poi forse studiato all’Università di Milano e forse avrebbe dato il là a moderni studi sociologici: infatti tutti i suoi libri sono compendi di sociologia ante litteram…

Forse Dio avrebbe toccato lo stesso il suo animo sensibile e sarebbe stato lo stesso un ottimo prete, ma forse, invece un ottimo sociologo.

Del nostro destino solo Dio è a conoscenza.

Radici?

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Quel giorno di primavera del 1987 in cui conobbi Umberto Bossi (non era nessuno, nemmeno Senatur…) nella prima sede della Lega a Varese, i suoi discorsi politici mi sembrarono davvero insoliti. Parlava di federalismo e di radici. Ma erano anni in cui si sentiva parlare solo di lotta di classe e di destra fascista o peggio di terrorismo… Fui proprio colta alla sprovvista, non ero preparata su quei temi pur essendo laureata in Scienze politiche. Università inutile? Forse.

32 anni dopo mi capita ancora di meditare sul discorso delle radici soprattutto quando assisto alla televisione ai telegiornali pieni di notizie sul dramma degli immigrati oppure quando ascolto i mille dibattiti fra esperti sull’argomento.

Nessuno, proprio nessuno, si pone il problema delle radici.

Quanti immigrati vivono qui da noi? Sono tanti. Non mi riferisco solo a quelli che arrivano sui barconi dall’Africa, ma anche a quelli che arrivano dalla Cina, o dalle Filippine o dal resto del mondo.

A tutti chiediamo d’integrarsi, cioè di assimilare lingua, usi e costumi nostrani. A noi sembra facile, persino ovvio, ma è evidente che per queste persone è una specie di trauma: doversi spogliare delle proprie radici per trapiantarsi in un nuovo paese molto diverso.

Ci sono alcuni che ci si provano e vi riescono più rapidamente: ad esempio chi viene dall’est Europa ha facilità ad imparare l’italiano. Altre comunità, come quella cinese, invece sono molto orgogliose di mantenersi in una sorta di haparteid tutto loro. Altre, come le gang latino-americane, vorrebbero addirittura sopraffarci con la violenza degli slums.

Ma nel loro cuore sono tutti ancora tristi e nostalgici delle loro radici: è umano, è naturale. E’ bio. E’ buonsenso bio!

A questo blog capita spesso di andare contro corrente. Ebbene dire che sradicarsi per immigrare è innaturale e doloroso è un discorso difficile, ma ciò nonostante non va nascosto come fosse polvere sotto il tappeto!

E’ un problema che affrontano tutti coloro che si allontanano dalle loro radici, dalla loro casa e dalla famiglia dove sono nati e cresciuti. Nostalgia e tristezza che vanno ad aggiungersi alle mille difficoltà pratiche del trovare lavoro e mantenersi.

I nuovi arrivati hanno nostalgia. Probabilmente i loro figli nati qui e scolarizzati qui, si radicheranno e saranno italiani senza problemi.

Quando si trapianta una pianta si rischia sempre che non riesca ad adattarsi e che avvizzisca, quando si cattura un animale e poi lo si trasferisce in un nuovo habitat si rischia sempre che non sopravviva: anch’essi soffrono di nostalgia. La natura ha bisogno di radici solide. Anche gli umani sopravvivono meglio vicino alle loro radici. Bisogna avere il coraggio di ammetterlo.

Ogni buon politico, di qualsiasi paese sia, sa che costringere alcuni dei propri concittadini ad emigrare è sbagliato e triste. E’ più ecologico dare a ciascuno la possibilità di fiorire e scilupparsi senza doversi sradicare.

Certo, il libero scambio fra culture ed esperienze arricchisce l’umanità. Ma dovrebbe avvenire non sotto l’impulso del bisogno, ma sotto quello della curiosità culturale.

 

Il rovescio della medaglia

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Forse quest’estate mentre eravate in vacanza vi è sfuggita una notizia che a prima vista può sembrare buona, ma che ha un pericoloso rovescio della medaglia. Il problema della plastica che inquina è proprio globale! Giusto quindi che la scienza che l’ha creato ora provi a trovare delle soluzioni. La ricercatrice Federica Bertocchini, affiliata al Cnr spagnolo e in forza all’Istituto di biomedicina di Cantabria, a Santander, possiede degli alveari che necessitano di pulizia regolare per eliminare le tarme della cera (Galleria mellonella). Prese le tarme infestanti le ha messe in un normale sacchetto di plastica (polietilene), con sua grande sorpresa dopo un po’ ha notato le tarme uscire libere perchè erano riuscite mangiarsi la plastica. Da qui l’idea di studiarle meglio coinvolgendo anche due biochimici dell’università di Cambridge: Paolo Bombelli e Chris Howe. La ricerca è stata poi pubblicata sulla rivista Current Biology: le larve delle tarme della cera possono mangiare la plastica digerirla e renderla biodegradata!

A prima vista può sembrare una notizia veramente buona: Wow!

Eppure io ci vedo un rovescio della medaglia pericolosissimo per la sopravvivenza dell’intera umanità. Infatti, immaginiamo che si decida di allevare tarme della cera per poi utilizzarle nel riciclo della plastica. Immaginiamo poi che, per un incidente, la sovraproduzione di tarme della cera si disperda nell’ambiente. Immaginiamo infine che gli alveari ne vengano infestati molto più che oggi. Insomma si potrebbe rischiare che le api ne subiscano un grave danno, forse irreparabile. Ma le api sono proprio alla base dell’ecosistema! Senza di esse non vi è impollinazione e fruttificazione. Non c’è bisogno di scomodare Einstein per immaginare che in pochi anni il mondo sarebbe desertificato: l’umanità affammata! Eccolo il grave rovescio della medaglia. Dio non voglia, davvero!!!

La plastica che tanto utilizziamo e di cui non sapremmo più fare a meno sembra proprio un’invenzione demoniaca: potrebbe portare alla fine dell’ecosistema mondiale. Per ora l’unica scelta sensata che abbiamo è quella di bruciarla in forni idonei! Poi dobbiamo cercare di limitarne la produzione, l’utilizzo e la dispersione. Però vi prego, non affidiamoci all’idea di smaltirla tramite le tarme della cera, non dovrà essere quella la strada per essere ecologici! Mai e poi mai!

Credits Foto: Designed by Freepik

Un’idea per gli oceani

Siamo noi umani a creare i disastri ecologici: spetta a noi rimediare. Aprite questo sito:

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Pacific_Trash_Vortex

Sarebbe davvero bello se questo sito internet alla fin fine risultasse una notizia falsa.

La maggior parte del globo è ricoperta dagli oceani, ma questi sono esseri indifesi, nessuno si dà attivamente da fare per rimediare al disastro ecologico della plastica disseminata in essi.

Credo che un’associazione come il WWF dovrebbe prendersi a cuore il problema e organizzare via internet un’azione di raccolta fondi per allestire una grande nave (tipo maxi petroliera) quale spazzina del mare. Dovrebbe essere dotata di attrezzature idonee a pescare la plastica galleggiante. Poi una volta issata a bordo la plastica dovrebbe essere compattata in ecoballe. A questo punto si potrebbe pensare a due azioni diverse.La prima ipotesi prevede che queste ecoballe vengano incenerite a bordo con un impianto dotato di abbattimento fumi. Detto impianto potrebbe fornire energia alla nave stessa. La seconda ipotesi potrebbe invece prevedere che le ecoballe venissero trasbordate a terra e inviate quindi subito a forni inceneritori dotati di moderni abbattitori di fumi e anche idonei a produrre energia per la popolazione locale che le accoglierà traendone profitto.

 

Cibo e plastica

Nel 1963 Natta ebbe il Nobel per aver inventato il Moplen. Io avevo 6 anni, non ricordo il prima; certamente però mia madre quando andava a fare la spesa riceveva merce non confezionata nella plastica e nemmeno la borsa della spesa era in plastica. Del resto non c’erano nemmeno i supermercati.

Ormai invece fare la spesa equivale a riempirsi la pattumiera di contenitori in plastica usa e getta. Eppure la plastica è un materiale indistruttibile. Perché lo consideriamo “usa e getta”?

E’ vero ci sono dei timidi accenni d’inversione di marcia: in effetti in pochi super si può arrivare col flacone vuoto e riempirlo di detersivo, pagando solo il contenuto e non il contenitore. Ma sarebbe bello che ci si sforzasse di più nel riutilizzare i contenitori.

Sarebbe bello che anche le vaschette in plastica della frutta e della verdura entrassero nel giro del riutilizzo. Io compro una vaschetta di pomodori e poi a casa la metto da parte. La riporterò vuota al super la prossima volta e avrò un mini premio. In questo la fantasia del marketing può sbizzarrirsi: ad esempio ogni 20 vaschette vuote un bollino, o uno sconto, o…

L’alternativa sarebbe quella di non utilizzare più la plastica e il polistirolo per le vaschette della frutta e della verdura. Sarebbe bello che in tutti i punti vendita si passasse a confezioni ecologiche biodegradabili.

Le persone che fanno la spesa al mercato sono un po’ più ecologiche di quelle che vanno al super: al mercato frutta verdura vengono avvolte nella carta. Infine però tutto viene messo nei sacchetti e qui …

Chi va al super ha il vantaggio di vedere che i sacchetti sono biodegradabili, mentre chi va al mercato spesso si trova a tornare a casa con buste di plastica non ecologiche, del vecchio tipo, anche se la legge lo vieterebbe (ma dove sono i controlli?).

Insomma fare  la spesa e non inquinare rimane sempre molto difficile, un virtuosismo per pochi molto attenti e con grande disponibilità di tempo e mezzi. Invece sarebbe bello fosse la norma, sarebbe bello fosse facile e ovvio per tutti riutilizzare ed essere premiati.

Un premio subito dal super e un premio per le prossime generazioni che non saranno soffocate da montagne di plastica (avete presente  Wall-e?)…

 

Caro don Lorenzo

Caro don Lorenzo,

quest’anno il 26.5 scorso ricorreva il cinquantenario dalla tua morte a Barbiana.

Molti si sono attivati per ricordarti, anche a me è stato richiesto di scrivere un libro di ricordi di famiglia, benché io avessi solo 10 anni quando venni al tuo funerale lassù in quel piccolo cimitero accompagnando mia mamma Lalla (tua cugina) e  mia nonna Lina nel dolore di tutti noi parenti.

Scrivere questo libro per me è stato difficile perché ho sempre cercato di guardare avanti, ho ceduto alle pressioni solo per far qualcosa di utile ai miei nipoti: lasciare scritti i miei ricordi di famiglia affinché anche loro trovassero radici a cui far riferimento nella costruzione della loro identità di adulti.

Penso di aver fatto qualcosa di utile anche per tutta la nuova generazione nata dopo il 2000 che non può aver ricordi di quegli anni.

Infine ritengo di aver ricollocato le vicende della tua vita in una prospettiva più veritiera cioè più aderente alla realtà.

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Nello scrivere il libro, mi sono fermata quando Papa Francesco ha iniziato a ricordare don Milani: è stata un’emozione forte che mi ha sopraffatta. La Chiesa allora ti esiliò in una sperduta parrocchia di montagna sul monte Giovi nel Mugello: Barbiana. Anche dopo la tua morte per tanti anni cercò di dimenticarti perché ti giudicava scomodo e in poche occasioni ti venne riconosciuto che l’opera pastorale che svolgevi coi tuoi ragazzi e coi parrocchiani era in sintonia col Vangelo di Gesù.

Ora Papa Francesco ti ha riabbracciato e riaccolto ridandoti piena dignità di prete: “bravo prete”. Non hai idea di cosa questo possa significare anche per noi che in famiglia allora soffrimmo, per te e con te, per le incomprensioni che ci furono fra te e la curia fiorentina.

Caro Lorenzo, anche a Castiglioncello ricordano la tua infanzia quando trascorrevi lì la villeggiatura estiva. Mia figlia, Sara, ha collaborato con la Pro Loco per organizzare una mostra di foto tratte dagli album di famiglia. La si può visitare fino al 24 luglio presso i locali della stazione.

Tu giudicasti quegli anni “di tenebre”, ma io penso che parte della tua personalità così bella e buona si costruì anche in quei soggiorni estivi, giocando coi cugini. Anche tu, come tutti noi, hai costruito la tua personalità partendo dalle tue radici e lì al mare in estate si riunivano sempre tutti i rami della famiglia.

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Papa Francesco è venuto sulla tua tomba a Barbiana il 20 giugno scorso. Il 21 tutti i giornali hanno riportato la notizia e su l’Avvenire anche il discorso integrale che ha tenuto lì. L’evento ha avuto grande risonanza mediatica. Ha riconosciuto le tue doti cristiane, la tua capacità di essere povero fra i poveri e soprattutto quella di educatore.

Io, nel mio piccolo, ho fatto dire allo zio Padre Domenico, che tu incontrasti a Barbiana assieme a suo fratello Umberto, mio padre e a mia mamma Lalla, una messa mattutina presso la chiesa dei frati cappuccini in piazza cimitero Maggiore a Milano.

Chiudo questa lettera dicendoti che, dopo il salone di Torino, la prima presentazione del libro che ho pubblicato per te, per noi, per tutti, avverrà proprio a Milano mercoledì 5 Luglio e ti mostro la locandina qui sotto.

immagine 2 locandina don Milani

In fin dei conti sei stato anche tu per un certo periodo della tua vita un milanese, e padre Domenico ricorda che quella notte a Barbiana gli confidasti di aver trovato la fede in Gesù proprio a Milano quando vedesti dei preti aiutare cittadini che ebbero la casa distrutta in seguito ai bombardamenti.

Il libro ora è nelle librerie, se avrà gambe e se Dio vorrà prenderà la sua strada. Intanto io ti saluto sperando che da lassù tu comprenda che ciò che quaggiù stiamo facendo tutti, lo si fa per ricordarti, per amor tuo e per cercare di riparare agli errori che furono fatti nei tuoi confronti.

Quando mi conoscesti bambina mi giudicasti una “figlia di papà”, fu un giudizio un po’ frettoloso, spero che ora lo cambierai, un saluto affettuoso,

tua Emma

Cin cin cinese

Il 22 settembre 2016 si è tenuta in Cina una giornata dedicata al vino italiano. Si è scelto il 22 perché in cinese quel numero si pronuncia come vino.

I nuovi ricchi e ricchissimi della Cina amano circondarsi di lusso “Made in Italy” non fa eccezione, quindi, nemmeno il vino.

Le ordinazioni di vino italiano sono fioccate talmente numerose che ancora oggi, ai primi di giugno dell’anno dopo, non si è riusciti a soddisfarle tutte!

Ottimo, per la nostra economia vitivinicola e per tutto l’indotto che ne consegue.

Un prodotto di lusso come il vino italiano deve essere venduto in bottiglia non nei cartoni.

Questo fatto ovvio non è stato però esente da problematicità. L’imballaggio delle bottiglie ha dovuto subire attente valutazioni affinché il lungo percorso via terra in Cina non causasse danni irreparabili. I nostri ingegneri hanno risolto brillantemente il problema. Anche le vetrerie si sono dovute adattare alla bisogna…

Però c’è un però grande come una casa. L’esportazione di grandi quantità di bottiglie di vetro si riverbera sulla produzione. Mettiamo che l’anno corrente preveda nuove massicce ordinazioni di vini italiani (ma lo stesso discorso si allarga ai vini francesi ecc.). Sarebbe una buona notizia per certi versi, ma alla lunga si può prevedere una carenza di materia prima per produrre le bottiglie.

Riciclare è cosa buona, bella e giusta. Il vetro è la materia che si ricicla meglio e anche noi italiani siamo bravi in questo settore. Ebbene se molto del vetro che esce dalle nostre vetrerie, anche se prodotto da vetro riciclato, arriva in Cina e là rimane, come faremo da qui a qualche anno?

Fino ad ora sono stati i cinesi ad arricchirsi con la nostra carta da macero: acquistata qui a poco prezzo, riportata in Cina riempiendo le stive vuote delle navi che avevano appena scaricato prodotti made in Cina per il nostro mercato e poi utilizzata in Cina per produrre nuovi imballaggi degli stessi prodotti destinati agli europei. Un circolo perfetto, un business lucroso.

Ma per il vetro? Non sarà altrettanto facile. Il vetro si frantuma in mille pezzi. Se dovesse rimanere in Cina potrebbe finire che anche il riciclo avverrà laggiù. Un’ipotesi tutt’altro che peregrina.

Da un business oggi qui da noi, ad un business domani là da loro…

Forse sarebbe bello che anche nel vino si arrivasse al consumo chilometro zero? Non so, ai posteri l’ardua sentenza.

Non c’è due senza tre! Mio nuovo libro…

Domani, lunedì 22 maggio 2017, al Salone del libro di Torino, presenterò il mio ultimo libro: “Don Lorenzo Milani, con la mente aperta e il cuore accogliente” – edizioni Imprimatur. Siete tutti invitati a venire alle ore 18,00 presso la Sala Music’n Books!

Ci sarà un dibattito dal titolo: “Dalla parte degli studenti”. Parteciperanno insieme a me, il coautore del libro, prof. Angelo Lucio Rossi, inoltre l’autore del libro “Bullismo e cyberbullismo” ed. Imprimatur , Alessandro Meluzzi e infine Marco Baldassarri.

Ho scritto questo libro in circa due mesi, è stato un instant book, in occasione del cinquantesimo della morte di Don Lorenzo che cadrà il 26 giugno prossimo. L’editore mi ha convinto a raccontare come abbiamo vissuto la vicenda di Don Milani noi della sua famiglia allargata. Io avevo solo dieci anni quando Don Lorenzo è morto. Ho quindi preferito raccontare ai miei nipoti, nati dopo il 2000 e a tutti i loro coetanei le vicende di quegli anni e di come gli scritti di Don Milani hanno cambiato il nostro paese e, di riflesso, anche la mia vita. Il prof. Rossi ha concluso il libro con una panoramica su cosa sta cambiando oggi nella scuola italiana che si ispira all’esperienza della scuola di Barbiana.

Nel frattempo Papa Francesco ha fatto importanti dichiarazioni su Don Lorenzo Milani riconoscendogli la capacità di grande educatore. Una cosa che davvero mi ha commosso: dopo i tanti anni in cui Don Lorenzo ha sofferto per le incomprensioni della curia fiorentina…

In due mesi non si può scrivere molto, però mi sono data il compito di ricollocare la figura del cugino di mia mamma Lalla in un quadro storico e personale più veritiero di quanto non sia avvenuto negli anni passati. Don Lorenzo è stato tirato per la tonaca dalla sinistra in modo eccessivo e inappropriato, spero di essere riuscita nella mia opera di ricerca storica ed anche in quella di empatia dovuta alle comuni origini famigliari… Buona lettura!

Etichetta, etichettare

Il 26 giugno 2017 saranno passati 50 anni dalla morte di Don Lorenzo Milani. “La centralità della parola” e “I care” (me ne importa) sono due frasi che ce lo rammenteranno sempre, quasi un suo marchio di fabbrica. Infatti lui nella sue scuole di San Donato e di Barbiana focalizzò come prioritario l’insegnamento dell’italiano ai suoi ragazzi. Ho intitolato questo articolo etichette, etichettare perché sono due parole che vorrei mettere a fuoco quest’oggi.

Etichetta, quanti significati ha? Tanti. Ad esempio si parla di etichetta quando ci si comporta secondo il galateo più severo: “badare all’etichetta”.

Ma occorre anche “badare all’etichetta” se si va al supermercato a fare la spesa. Solo che qui la frase assume un significato molto diverso: si tratta di leggere bene gli ingredienti scritti sull’etichetta del prodotto che si sta acquistando per essere sicuri di comprare un prodotto che va bene per noi.

E’ molto importante che le etichette siano scritte in modo chiaro, leggibile anche da chi ha poche diottrie e che siano esaurienti: vogliamo sapere da dove vengono i prodotti che stiamo per acquistare, tutti i prodotti. Non solo quelli alimentari.

Vogliamo sapere come sono composti e sarebbe bello anche che avessero vari bollini: uno che ci dicesse se sono prodotti rispettando l’ambiente; uno se sono biologici; un’altro se sono prodotti senza lavoro minorile o sfruttamento dei più deboli, col cottimo ad esempio…

Ecco vorremmo etichettare tutto in modo chiaro e informando bene i consumatori.

Etichettare in questo modo ci piacerebbe. Ma c’è un modo di etichettare che invece sarebbe bello smettesse di esistere.

Quale? Quello che di solito fa la gente verso le altre persone. Di solito ci informiamo superficialmente su di loro, magari usando i social. Ci formiamo così un’idea preconcetta.

Questo modo di etichettare tutte le persone è comodo e facile. Però è negativo perché preclude a ciascuno, anche a noi stessi, la possibilità di cambiare idea, di pensare oggi una cosa e poi ripensarci dopodomani e vederla diversamente.

Oggi su un social scriviamo una cosa. Questa ci si appiccica addosso come una etichetta che non sarà mai più possibile staccare: colla ultraresistente! Non riusciremo nemmeno ad attaccarci sopra una etichetta diversa e nuova per nascondere la vecchia, impossibile (sic!).

Quindi la sola soluzione è che si sia tutti un po’ meno pigri mentalmente: Ognuno ha diritto/dovere di cambiare idea: basta con i pre-giudizi. Smettiamola di essere superficiali nei rapporti con gli altri!

Glocal è meglio

Navi merci lunghe 400 metri piene di container. Per farli sbarcare tutti occorrono qualcosa come 20 mila Tir, o alcune centinaia di treni-blocco specializzati.

Questo è il futuro che ci si sta aspettando a Livorno dove si sta per costruire una nuova darsena in grado di accogliere simili giganti del mare.

Il 1° dicembre 2001 la Cina è entrata a far parte del WTO. A questa data si può far risalire ufficialmente l’inizio della globalizzazione.

15 anni dopo negli Usa, inaspettatamente, è diventato presidente Donald Trump: il suo programma politico dovrebbe segnare un ridimensionamento della globalizzazione. Gli operai americani che hanno visto trasferirsi le loro industrie manifatturiere in Cina ora sono stanchi e hanno votato chi ha promesso di far tornare le industrie e il lavoro.

Probabilmente molte industrie torneranno a produrre negli Usa per via della nuova politica delle tasse che premia chi produce negli Stati Uniti e penalizza chi ne rimane fuori.

Siamo proprio sicuri di voler accogliere 20 mila tir sulle nostre strade e sui nostri malandati ponti ogni volta che attraccherà una nave?

Siamo proprio sicuri che le previsioni logistiche del porto di Livorno saranno quelle più probabili?

Non sarebbe meglio capire come evolverà il commercio mondiale?

Oppure c’è chi pensa che le merci prodotte in Cina che ora servono ad alimentare il mercato negli Usa, dopo Trump, verranno semplicemente dirottate sul mercato d’Europa?

Glocal sarebbe molto meglio. Cioè lasciare ai trasporti a lungo raggio solo le merci e le materie prime che non si possono recuperare più vicino.

L’ambiente sarebbe più pulito e il lavoro a “km zero” se ne avvantaggerebbe.

Anche i cinesi avrebbero condizioni di lavoro migliori e qualità della vita più alta: le merci che producono finirebbero per alimentare il loro mercato interno che non è certo piccolo!